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L’Unificazione operò un cambiamento notevole nel mondo universitario che fu ristrutturato ricorrendo anche alla sostituzione di docenti. Ex esuli e patriotti furono reinseriti, mentre vennero allontanati coloro ritenuti scientificamente non all’altezza o compromessi con i vecchi regimi.
Lo strumento adottato fu quello del giuramento politico al Re, allo Statuto e alle leggi dello Stato. La questione assunse risvolti molto delicati nel momento in cui ci si dovette confrontare con il problema dei cattolici nella pubblica amministrazione. Motivi politici contingenti, nonché il desiderio pragmatico di non esasperare i conflitti e di non privarsi delle competenze di docenti di chiara fama, resero la situazione assai fluida e poco lineare. Addirittura furono suggeriti e/o addottati arditi espedienti per mantenere in servizio taluni di questi docenti ed evitare così sia una perdita per la scienza, sia una pubblicità negativa per il governo.
E’ in questo contesto che si inserisce la vicenda scientifica e umana di Lorenzo Respighi, che iniziata la propria carriera presso l’Università di Bologna nel 1849 la concluse a Roma, vivendo in entrambi gli atenei il delicato momento della transizione dall’università pontificia alla Regia università. A Roma Respighi era giunto nel 1865, dopo essersi rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà richiesto ai docenti bolognesi alla fine del 1864, non per ragioni di “ostilità al Re ed allo Statuto, ma bensì per motivi di coscienza”, come egli scrisse in una lettera al Rettore Antonio Montanari.
Allorché Roma divenne capitale d’Italia, Respighi dovette affrontare ancora una volta il dilemma: giurare o andarsene. La relazione, dopo aver descritto i fatti bolognesi, si soffermerà sul periodo romano dal 1870 al 1872, cercando di fare luce sulla estrema flessibilità e sulle ‘smagliature’ delle vicende relative al giuramento.