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All’indomani del recentissimo e importante corso estivo sulle Astronomie Culturali Europee del Medioevo e della Prima Modernità organizzato dall’Accademia Polacca delle Scienze (Rodriguez-Arribas, 2023) e finanziato dal programma europeo “PERIPHERIES–Minority Cultures on the Periphery of Science” (https://www.academia.edu/101058587/FINAL_PRO), appare opportuno tornare in dettaglio sulla vexata quaestio della definizione dell’Astronomia Culturale e sul suo rapporto con le più note discipline sorelle: la Storia dell’Astronomia e soprattutto l’Archeoastronomia e l’Etnoastronomia. In effetti il corso, molto ricco nei contenuti e molto partecipato dalla comunità internazionale, si proponeva consapevolmente come momento fondativo dal punto di vista accademico di una “meta-disciplina” oscurata per vari motivi da questi ultimi due ambiti associati, peraltro troppo spesso ridotti esclusivamente a pratiche indigene o preistoriche, e penalizzata dalla sua natura polimorfica e interdisciplinare. Ulteriore motivo di riflessione in questa occasione era la quasi completa assenza di rappresentanza dell’accademia del nostro paese e la ben più grave défaillance della mancata trattazione dell’ambito culturale italiano, quello forse di impatto più rilevante sulle dinamiche storiche europee all’alba della Modernità. Alla luce di questi fatti e della innovativa presentazione negli ultimi due anni di una scheda ufficialmente dedicata all'Astronomia Culturale nella programmazione scientifica dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, è tempo di riconsiderare le proposte di Nicholas Campion (2004-2023), Rolf Sinclair (2006), Stanislaw Iwaniszeski (2019), e in particolare quella tassonomica di Vito Francesco Polcaro (2009) che informava la vecchia pagina web della Società Italiana di Archeoastronomia, declinandole ed estendendole in modo da allinearle ad una più generale ed inclusiva prospettiva di storia culturale. Con una serie di citazioni, esempi e controesempi cercherò di mostrare come sia necessario cercare di cogliere al meglio le sfumature della contemporaneità e le sfide politiche dei correnti “cultural studies”, valorizzando la varietà dei metodi di studio anche non matematici e superando alcuni persistenti e pervicaci bias disciplinari.