Dal 3 al 6 dicembre 2024, presso l'Area della ricerca del CNR di Palermo, si svolgerà il Primo Congresso Nazionale di Astronomia Culturale.
Organizzato dall’INAF - IASF di Palermo, l'evento aspira a diventare un’occasione di scambio, con cadenza annuale, fra astrofisici/cosmologi e studiosi di diverse aree disciplinari (sociologia, antropologia, epistemologia, teologia, arti figurative e performative, politica e diritto), per analizzare il complesso intreccio tra la ricerca astrofisica e le ricerche condotte in ambiti culturali contigui o ritenuti lontani.
Da questo punto di vista, il congresso costituirà una vera novità: mettendo al centro i rapporti tra lo studio scientifico del cielo e altri campi di indagine, anche di stampo umanistico ed artistico, si tenterà finalmente di valorizzare tutte le ricerche che afferiscono all’Astronomia Culturale, un ambito che da sempre, quando presente, è stata una voce a latere in programmi esplicitamente dedicati ad altre discipline.
Forse l'obiettivo più ambizioso di questo congresso sarà di curare una misconcezione piuttosto diffusa che, nonostante l’Astronomia Culturale sia disciplina universalmente riconosciuta come vero e proprio ambito di ricerca scientifica, spesso la fa erroneamente ricondurre alla divulgazione e, più in generale, alla cosiddetta "Terza Missione”.
Le ricerche che verranno selezionate dovranno quindi possedere il carattere di vere e proprie indagini scientifiche che, sul comune sfondo astronomico, verranno condotte usando i metodi mutuati dai vari ambiti storico, epistemologico, sociologico, antropologico, filologico, musicologico, giuridico, ecc.
Sarà comunque un meeting informale che, almeno in questa prima edizione, servirà a costruire ponti fra le due culture, scientifica e umanistica, stimolando eventuali, fruttuose collaborazioni. Verrà dato inoltre spazio ai contributi scientifici di studenti universitari per tentare di garantire continuità a una tipologia di studi che di sicuro ha bisogno di essere promossa e resa allettante, specie nella prospettiva di formare ricercatori “anfibi”, esperti, cioè, di ambiti di indagine a cavallo tra scienze dure e discipline umanistiche.
Stimolati dall'incredibile fascino esercitato su di noi dal cielo stellato, tentiamo di carpire segreti all'universo servendoci di strumenti che necessitiamo di rendere progressivamente più sofisticati: uno studio che ha dunque un carattere sia scientifico, sia tecnologico e capace di riverberarsi sulla nostra consapevolezza di specie all'interno non solo dell'ambiente terrestre, ma anche e soprattutto nell'ambiente cosmico. Per quanto detto, l’indagine prima astronomica, poi astrofisica condotta sul cielo ha avuto, e tutt'ora ha, l'effetto di renderlo da oggetto di studio, pure strumento col quale l’umanità matura consapevolezze profonde circa la propria evoluzione culturale e il suo progredire sullo sfondo naturale. Da qui il titolo dato alla manifestazione.
I contributi cui verrà dato spazio afferiranno alle seguenti aree di interesse:
- Astronomia e Storia;
- Archeoastronomia;
- Astronomia e Sociologia;
- Etnoastronomia;
- Astronomia e Narrativa
- Astronomia ed Epistemologia;
- Astronomia, Politica, Diritto;
- Astronomia e Arte;
- Astronomia, Religioni, Mito.
Il congresso è quindi rivolto soprattutto a ricercatori, ma anche a educatori interessati alla dimensione scientifico-sperimentale del loro lavoro, e rappresenta un’opportunità unica per promuovere lo scambio di esperienze ed il confronto all’interno dell’INAF e tra enti di ricerca, università, scuole, istituzioni pubbliche e private.
Si prevedono presentazioni orali di invited speakers e altre su selezione. Il congresso prevede inoltre una sessione poster che darà l’opportunità a quanti non saranno inseriti nelle comunicazioni orali, di presentare comunque la propria ricerca.
Deadlines:
Comunicazione e grafica: Giuseppe Fiasconaro
Saranno presenti gli afferenti "storici" alla Scheda INAF AsCultA:
Introduzione al convegno, presentazione del Logo ufficiale di AsCultA, Angelo Adamo, Alberto Cappi, Manuela Coniglio, Roberto Danizi, Giangiacomo Gandolfi, Salvo Guglielmino, Paolo Molaro, Francesco Poppi
Verranno distribuiti i Badge ai congressisti già registrati attraverso questo form e verranno effettuate nuove, eventuali registrazioni
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Andrea Orlando (Istituto di Archeoastronomia Siciliana)
Il presente contributo intende ripercorrere le fasi più importanti relative alla fondazione della città di Akragas considerando, in un intreccio di fonti storiche e archeologiche, alcuni dati che riguardano, in realtà, aspetti legati alla sfera religiosa legata a eventi astronomici. In particolare lo studio prende le mosse da un evento straordinario avvenuto il 21 settembre 582 a.C., un’eclissi totale di Sole, che interessò una vasta zona geografica compresa tra il Mediterraneo, l’Egitto e l’Arabia. Dalla ricostruzione al calcolatore è stato osservato che questo evento accadde al sorgere del sole dell’equinozio di autunno (che segnava l’inizio del semestre freddo e disagevole dell’anno) e che ebbe a corredo una straordinaria congiunzione stretta del Sole con Mercurio, Giove, Saturno e la stella Spica/Persefone. Infine, in tutta la grecità fu particolarmente visibile con il ben noto effetto del ritorno della notte solo nella città di Gela e parzialmente a Siracusa. Alla luce dei risultati ottenuti il presente studio propone, in modo preliminare, un’ipotesi di lavoro che tenta una lettura integrata circa le motivazioni che possono aver determinato o accelerato a Gela dei fenomeni di στάσις sociale o riti di purificazione per sanare contrasti profondi. Questo evento potrebbe aver concorso alla fondazione da parte dei geloi di Akragas che, secondo quanto riporta con un numero particolarmente preciso Tucidide, viene fondata nel 581 a.C., 108 anni dopo Gela e durante la cinquantesima olimpiade.
Lo studio ha visto l’utilizzo di sistemi di ricostruzione del Cielo antico mediante il software professionale Bisque - The Sky X e con grafiche riprese dal software Stellarium. Inoltre la verifica dei dati dell’eclisse è stata effettuata attraverso il NASA – Solar Eclypse Search Engine.
La scientificità del dato astronomico è stata associata alla ricerca storica di eventi simili che ha rivelato l’impatto che le eclissi solari totali hanno determinato in popoli precedenti, contemporanei e successivi.
La metodologia della presente indagine ha quindi, da una parte, toccato i tasti legati al modo astronomico per poi affondare nelle ragioni storiche di eventuali reazioni nelle popolazioni coinvolte. La rilettura delle fonti antiche ha certamente completato ed arricchito un quadro assai complesso in cui l’aspetto determinante ruota attorno alle conoscenze astronomiche dell’epoca e attorno a quei riti di purificazione e alle figure dei pharmakoi che, nel corso della storia, hanno permesso alle comunità di ritrovare la pace dopo l’”avviso” dato dalla divinità attraverso il misterioso evento solare. E’ infatti coevo il racconto di Erodoto su una battaglia decisiva tra Lidi e Medi interrotta per l’improvvisa eclissi solare del 585 a.C., interpretata come segno divino e causa di una susseguente improvvisa pace.
In conclusione, con il presente contributo, si segnala una possibile relazione tra la fondazione della colonia geloa della città di Akragas e un evento scientificamente attestato: l’impressionante eclissi totale di sole (21 settembre 581 a.C.) che coincise, con un momento di grande crisi nella comunità della colonia greca di Gela storicamente attestata dalle fonti.
Tucidide, storico ateniese che scrive nella seconda metà del V sec. a.C., ci informa (Storie VI, 4, 4) che «Circa cento otto anni dopo la fondazione della loro città i Geloi fondarono Akragas, denominando la città dal fiume che ivi vi scorre; furono scelti come ecisti Aristonoo e Pistilo e alla colonia vennero date le istituzioni che erano proprie di Gela».
Alla luce di quanto detto, il presente articolo segnala quanto accadde alle ore 7:00 del 21 Settembre 581 a.C. e come questo evento, letto come segno divino, possa aver costituito l’innesco della fuoriuscita dalla città siceliota di uno o più gruppi di cittadini, invitati a stanziarsi comunque in una destinazione già conosciuta e frequentata come rivelano attestazioni archeologiche.
La Macchina di Anticitera, calcolatore meccanico-astronomico risalente al II secolo a.C., è l'unico esemplare parzialmente sopravvissuto dell'antica arte greca della sphairopoiia, ovvero la costruzione di modelli in scala di teorie astronomiche. In questa relazione discuterò i problemi storico-teorici sollevati dall'esistenza di tale congegno, soffermandomi sul ruolo svolto dalla sphairopoiia nel quadro generale dell'astronomia greca. In particolare, illustrerò una nuova interpretazione dei diagrammi a eccentrici/epicicli che risulta coerente con tale lettura e con recenti scoperte sull'astronomia babilonese del periodo ellenistico.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande)
Invited: Massimo Cultraro (Istituto delle Scienze del Patrimonio Culturale (CNR-ISPC), Catania)
L’archivio privato di Emilio Bianchi è un progetto nato dal ritrovamento casuale nel 2024 di materiali appartenenti al primo direttore del Regio Osservatorio Nazionale di Roma, ora Osservatorio Astronomico di Roma – INAF. Il progetto mira a valorizzare, conservare, digitalizzare e rendere accessibili tali materiali, che includono fotografie, articoli di giornale, documenti, medaglie, libri e un quadro. Dopo anni di giacenza dimenticata, i materiali versavano in uno stato di scarsa conservazione: i documenti cartacei si presentavano in ordine sparso, rendendo difficile la loro catalogazione, e alcuni oggetti necessitavano di immediate cure di restauro. Il sottoscritto ha già avviato una riorganizzazione dei materiali, risolto alcune questioni di attribuzione, e affidato al restauro gli oggetti che lo richiedevano. Dopo la creazione di un inventario, i materiali saranno studiati, catalogati e integrati nel database SicapWeb dell’INAF. Seguirà la digitalizzazione, che faciliterà anche la divulgazione tramite mostre, convegni e pubblicazioni, agevolando così la fruizione dell’archivio da parte di un pubblico più vasto. Il progetto, oltre a contribuire alla conservazione di importanti testimonianze storiche, rappresenta un contributo significativo alla storia della scienza in Italia e getta le basi per la futura valorizzazione degli archivi storici dell'INAF.
Ancora oggi la grande maggioranza della manualistica geografica adottata nelle scuole si apre con un capitolo dedicato all’Universo e alla posizione della Terra in esso. Saperi geografici e saperi astronomici sono profondamente interconnessi fin dall’Antichità, con un rapporto che non è venuto meno con il costituirsi della Geografia in una disciplina ben delineata durante il corso del XIX secolo.
La prima parte dell’Ottocento rappresenta un momento cruciale e fondativo da questo punto di vista, caratterizzato da una discussione molto vivace e ampiamente partecipata a cui presero parte diversi intellettuali e scienziati del tempo per definire l’oggetto di studio, i metodi da impiegare e quali obiettivi prefiggere per la nuova disciplina.
L’affermazione di una Geografia accademica in Italia risale alla seconda metà del secolo diciannovesimo secolo, ma già nei decenni precedenti alcuni geografi avevano posto le basi per il suo avvento. Tra questi, una menzione speciale la merita Adriano Balbi (1782-1848), geografo veneziano, ma italiano di convinzione ed europeo di cultura, che viaggiò molto ed ebbe fitte relazioni con scienziati di varia natura nel corso della sua vita. La formazione di Balbi fu ampiamente variegata, attento lettore delle coeve opere di geografi stranieri, ad esempio leggendo i compendi di Conrad Malte-Brun o Carl Ritter, non mancò però di completare il suo bagaglio di conoscenze fisiche e astronomiche con testi classici della scienza come Athanasius Kircher, Galileo Galilei o Carl Friedrich Gauss. Molto prolifico nel corso della sua attività di studioso, le numerose opere che realizzò furono stampate in tutto il mondo e tradotte in differenti lingue, permettendo ad Adriano Balbi di inserirsi con autorevolezza nel dibattito geografico nazionale e internazionale.
Nei suoi compendi geografici, molti dei quali destinati specificatamente all’istruzione scolastica, egli era solito aprire la trattazione con un capitolo dedicato alla geografia astronomica. Non va dimenticato che la carriera di Balbi prese avvio come insegnante di Fisica presso il liceo di Fermo e mantenne per tutta la vita contatti e dialogo con gli astronomi italiani dislocati nei vari osservatori della Penisola, in particolare con quelli degli osservatori di Brera, di Padova e di Roma. Ciò permise al geografo di rimanere costantemente aggiornato sul dibattito in corso in ambito astronomico e collaborare con gli astronomi all’avanzamento della scienza in Italia. Tale fitta trama di relazioni è oggi rintracciabile attraverso lo studio dei numerosi carteggi e appunti del veneziano conservati presso archivi italiani ed esteri.
Inoltre, come noto, nel corso dell’Ottocento il contatto tra studiosi italiani di diverso ambito avvenne anche attraverso quella fervida stagione di Riunioni degli scienziati che va dal 1839 al 1847. Tali occasioni rappresentarono uno scenario dove le questioni scientifiche si mescolarono ad aspirazioni risorgimentali e patriottiche, rafforzando legami politici e culturali tra i diversi partecipanti (Casalena, 2007). Adriano Balbi partecipò a diverse di queste riunioni, giungendo a presiedere la sezione di Geografia e Archeologia in quella del 1847 svoltasi nella sua città, Venezia, e ponendo ricorrentemente al centro delle sue riflessioni la necessità di creare scienze “nazionali”, in dialogo tra loro per l’avanzamento scientifico dell’Italia.
La nostra ricerca si concentra sul legame esistente tra la Geografia e l’Astronomia nel primo Ottocento, analizzato ed esemplificato attraverso l’opera del “nestore degli europei geografi” (Il Pirata, 19 agosto 1845, n. 15, p. 63), in un momento magmatico e di ridefinizione dei saperi scientifici in entrambe le discipline. Dunque, rintracciare i fili del percorso storico delle discipline per risalire ai molteplici rapporti intercorsi esistenti e caratterizzanti che intercorsero, così da compiere un’importante indagine sull’«archeologia del sapere» (Foucault), superando il rischio di un appiattimento atemporale e allargando la nostra prospettiva su scienze in costante confronto e dialogo, tutt’altro che separate.
Johannes Kepler fu concepito il 16 maggio 1571 alle 4:37 del mattino, e nacque il successivo 27 dicembre, alle 2:30 del pomeriggio. L'esistenza di date e orari così precisi - che lo stesso Kepler calcolò quando aveva 25 anni - ci ricorda che viveva in un'epoca in cui astronomia e astrologia erano usate come sinonimi. Come molti altri astronomi e studiosi del suo tempo, da Tycho a Galileo, Kepler era affascinato dall'astrologia e credeva in una potente concordanza tra il cosmo e l'individuo. Ma rifiutava anche molti dei dettagli tradizionali dell'astrologia, ed è stato tra i primi a richiamare l'attenzione sulle importanti differenze tra le due discipline. Lo ha fatto in un testo poco conosciuto, la Prefazione all'ultima delle sue opere maggiori, le Tabulae Rudolphinae (1627), un denso volume in-folio, per metà riempito di tabelle numeriche e per metà di spiegazioni in latino. Le tavole permettevano all'utente di calcolare con una precisione senza precedenti le posizioni del Sole, della Luna e dei pianeti per qualsiasi data, nel passato o nel futuro. Per Kepler, quei valori numerici corroboravano la correttezza delle sue leggi del moto dei pianeti, pubblicate per la prima volta nel 1609 e nel 1619. Come la maggior parte dei suoi scritti di questo tipo, l'introduzione alle Tabulae Rudolphinae presenta una miscela unica di elementi polemici e autobiografici, che vale la pena di leggere in dettaglio, poiché ci offre, da un lato, informazioni utilissime sulla genesi e sulla scrittura dell'opera; dall'altro, ci consente uno sguardo privilegiato nella mente di uno dei più grandi astronomi della storia, troppo spesso considerato come l'ultimo rappresentante di una mentalità medioevale ormai al tramonto, di fronte alla nuova mentalità scientifica emergente. E ci invita a porre una disciplina tecnica come l'astronomia in una prospettiva più ampia, che per essere adeguatamente compresa richiede anche la storia e la filosofia.
Nel mio intervento intendo presentare il testo della Prefazione alle Tabulae Rudolphinae, proponendo di leggerlo sulla base di spunti e riferimenti tratti dalla più ampia produzione di Kepler, in particolare dalla sua corrispondenza con gli astronomi del tempo (fra tutti, Michael Maestlin). L'obiettivo è superare una lettura semplicistica della storia dell'astronomia, e di Kepler in particolare, mostrando come, in un periodo cruciale quale la Rivoluzione Scientifica, lo studio del cielo abbia costituito il banco di prova non solo di modelli cosmologici e cosmografici diversi, ma di di visioni del mondo (e del posto occupato dall'uomo al suo internoo) che, per quanto lontane possano sembrare dall'astronomia di oggi, hanno contribuito a fondare la scienza moderna.
La scoperta del redshift delle galassie e della relazione fra redshift e distanza è stata oggetto in tempi recenti di studi storici e anche di un vivace dibattito. Relativamente meno attenzione è stata data invece alle tappe precedenti che hanno richiesto la misura precisa degli spostamenti delle righe spettrali delle stelle rispetto alle posizioni determinate in laboratorio. Qui presenterò la storia delle prime misure dell'effetto Doppler negli spettri stellari, che ha avuto come protagonisti Angelo Secchi, William Huggins (dei quali in particolare analizzerò ruolo e contributi) e Hermann Vogel, confrontandola anche con la storia delle prime misure del redshift gravitazionale nelle stelle. Esaminerò inoltre il modo in cui queste misure sono state annunciate, accolte e divulgate. Si tratta di una storia interessante e istruttiva sotto molteplici aspetti: dal punto di vista epistemologico illustra alcune problematiche nel processo di verifica di una teoria scientifica attraverso le osservazioni astronomiche, dal punto di vista sociologico mostra il grado di soggettività col quale gli scienziati valutano questo processo e col quale gli storici lo interpretano, infine dal punto di vista divulgativo è un esempio di come il mito di una scoperta prevalga sulla sua storia.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande)
Invited: Massimo Cultraro (Istituto delle Scienze del Patrimonio Culturale (CNR-ISPC), Catania)
La nascita e lo sviluppo del pensiero scientifico sono strettamente legati all'osservazione del cielo e all'astronomia. Infatti, ogni civiltà ha sentito la necessità di misurare il tempo e la base più sicura per farlo era il moto degli astri e dei pianeti, in particolare del Sole e della Luna. I calendari sono tra le più antiche e rilevanti invenzioni umane.
Oggi, in quasi tutto il mondo, si utilizza il calendario gregoriano, introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582 come correzione del precedente calendario giuliano, di epoca romana. La Commissione Pontificia per la riforma del calendario, istituita proprio da Papa Gregorio XIII nel 1575 era costituita da 9 o 10 membri, ma è poco noto che almeno tre fossero calabresi e che il modello matematico alla base del nuovo calendario fosse stato sviluppato da Luigi Lilio, calabrese egli stesso. Sebbene Luigi Lilio fosse deceduto prima dell’istituzione della commissione, ne fu comunque il teorico originale e il suo lavoro postumo fu la base su cui la commissione costruì e sviluppò il calendario gregoriano. La sua proposta fu presentata dal fratello, Antonio Lilio, membro della commissione stessa.
Si tratta di un evento eccezionale o l’influenza degli studiosi calabresi allo sviluppo dell’astronomia e della scienza può essere considerato rilevante e strutturale? A questa domanda si proverà a rispondere con un excursus storico/scientifico che parte dall’antica Grecia per arrivare alla rivoluzione del pensiero del XVI e del XVII secolo.
After four centuries, we still do not know the genesis of the Galilean (or Dutch) Telescope, but equally obscure is the origin of the astronomical telescope. This telescope made with two convex lenses (also called Keplerian) became widely used from the second half of the XVth century and dominate the astronomical scene till the XXth century. In his Dioptricae, Kepler (1611) described the combination either of two or three convex lenses, but he never described a telescope or made such a device. The first mention of a telescope made with two convex lenses is by the Jesuit Christoph Scheiner in his Rosa Ursina Sive Sol in 1631. This is probably why Antonio Maria Shyrleus de Rheita in 1645 credited to Scheiner the first construction and use of such a devise. However, the discovery by Franz Daxecker (2004) of a passage in the Jesuit annual account of the year 1616 at the Tyrolean State Museum shows that an astronomical telescope was in the possession of the Archduke Maximilian III, and that it was converted for terrestrial use by the Jesuit astronomer Christoph Scheiner. In our viewthen this implies that Scheiner was not the inventor. In his Novae Coelestium Terrestriumque rerum Observationes, Francesco Fontana (1646) claimed to have conceived the first positive eyepiece already in 1608. He also produced a testimony by the Jesuit Johan Baptista Zupus who declared to have used his new telescope since 1614. Generally, scholars have always considered Fontana's claim a lie and not taken seriously. However, there are other evidences that keplerian telescopes where circulating in Europe in 1617 as one of this could be depicted in the Allegory of Sight by Jan Brueghel the Elder. Thus, Fontana remains the only one, and therfore the most likely, candidate to have manufactured the first Keplerian Telescope as early as 1614 and possibly, if we trust him, already in 1608, which would be before the Galilean’s one.
Abstract: Nel 1975 il celebre compositore tedesco Karl Heinz Stockhausen scrisse Tierkreis (“Zodiaco”), un ciclo di dodici composizioni dedicate alle costellazioni eclittiche. In diverse occasioni dichiarò che per questa come per altre opere si era ispirato alle teorie sviluppate in ambito astrofisico e, in particolare, citò il modello cosmologico del Big Bang e l'articolo sull'origine degli elementi chimici pubblicato nel 1948 da Alpher, Bethe e Gamow. Riprendendo le teorie cosmologiche in voga all'epoca e attraverso un'attenta analisi della partitura di Tierkreis, spero di aver trovato prove di tali influenze astrofisiche nella “traduzione” musicale che Stockhausen diede di ciò che percepiva del forte dibattito cosmologico di quegli anni.
From paintings and sculpture to music and poetry, the historic scientific mission of Rosetta and its epic narration have inspired many artists around the world. As a member of the Rosetta communications team for ESA, in 2016 I started compiling the Rosetta Art Tribute, an online repository of artistic tributes to Rosetta, Philae & Comet 67P/Churyumov-Gerasimenko. In this presentation, I will present a selection of the artwork and pop culture references as a homage to a mission that left a mark not only in the planetary science world but also in global culture.
Closer to the sky is an IAU Office of Astronomy for Development funded open science project taking place in a favela of Rio de Janeiro, Brazil. It is the result of the collaboration between researchers and students from the Valongo Observatory (UFRJ), artists, educators, and community residents, with a network of partners and collaborators from several countries around the world, working at the intersection between astronomy for development and informal science education.
The motivation for Closer to the sky is racial inequality. In Brazil, racial inequality dates back to the heritage of colonialism, slavery and genocide of the indigenous and Black, Afro-Brazilian population, and it pervades all aspects of society today, including academia, STEM subjects and astronomy. Therefore it is our duty as members of society to address racial inequality in our immediate environment and beyond.
The project takes place in the Cantagalo-Pavão-Pavãozinho (PPG) favela, a community in the southern part of Rio, very close to two of the richest, most famous neighbourhoods of Copacabana and Ipanema. It’s located on top of a hill, as many Brazilian favelas are, hence the name: Closer to the sky has a geographical inspiration, besides of course the aim of bringing people closer to the beauty of the universe.
Favelas are informal settlements common throughout Brazil, which score lower than other neighbourhoods on a number of development indicators, such as employment rate, average income, school abandonment, crime and state-perpetrated violence. It would however be ill informed to define favelas in deficit terms. They are home to tight-knit communities and a vibrant cultural and art scene, from funk and trap to street art and graffiti, which permeates the entire country even though it is still kept at the margins by mainstream culture. Closer to the Sky tries to address both these aspects by bringing science into the favela territory and co-creating scientific content by and for the local community members.
The project started in 2020 as an astronomy club in the PPG, prompting a dialogue between astronomers and their students, on one side, and the favela residents on the other, and the project was further developed by listening to the community members. This is the main takeaway of the project, which should actually be the approach for any public engagement project in marginalised areas: meeting the community where they are and co-designing the project according to the local needs. During the covid-19 pandemic, for example, due to the lack of proper internet access in most favela homes, a large number of children lagged behind in education for almost two years. Education is what community leaders flagged that astronomers could intervene on, providing extra-curricular activities that are not easily accessible in the favela. So the PPG astro club started offering weekly astronomy classes as well as English as a second language through an online link with a school in London.
Since 2022, Closer to the Sky moved to Ninho das Águias (in English, Eagle’s nest), a library and cultural centre at the top of the hill, founded by two PPG residents in an area that was previously a dumping ground. There, astronomers offer weekly classes for children aged 4-12, exploring astronomy and basic science topics with a creative approach and a decolonial perspective, aiming to foster curiosity towards scientific topics while also challenging the underlying colonialist assumptions and biases. Classes involve different activities, encouraging peer-learning and cultivating a non-violent mindset.
In the process, the team realised there aren’t many astronomy education resources available for this age group that are not based in a Eurocentric, white-male-cis-hetero-able-dominated framework, so we started to develop the project’s own resources. An example is exploring the African roots of science (e.g. the Ishango and Lebombo bones as mathematical tools) or Indigenous astronomical knowledge and constellations. This is being done together with artists, educators and volunteers from the favela. This is another key aspect of the project, with the dual purpose of engaging also the local adults in the co-creation of scientific content while at the same time promoting positive role models from the children’s own community.
Thanks to IAU OAD funding, since 2024 it has become possible to engage a number of community residents in the project. For example, there are astronomy workshops mixed with graffiti, and the weekly astronomy class is followed by a hip hop class, during which the children rhyme about planets, stars etc. practicing the scientific content they learnt while also improving their memory, creativity and self-esteem.
Unfortunately, in August 2024, a fire destroyed the Ninho das Águias library, where the Closer to the Sky project is hosted. Classes are ongoing and the library is currently being rebuilt, also thanks to a widespread donation campaign.
The material created during classes will form a novel, decolonial courseware based on contextualized science, i.e materials that use the context of marginalized societies as examples where we can understand, learn and make science. This will be shared as open educational resources in several languages so it can be useful to other similar projects around the world. We also plan to monitor the well being of children and adults as part of the IAU OAD flagship on Astronomy for mental health.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Nel 1948, Fred Hoyle propose come teoria alternativa al big bang una soluzione radicale che voleva evitare l’origine singolare dell’universo: l’origine stessa doveva essere la conseguenza di una legge naturale. L’origine della materia era da pensarsi nei termini dell’esistenza di un campo fisico-cosmico di creazione, C-field, a energia e pressione negative. Si dovevano modificare le equazioni di campo della relatività generale introducendo un nuovo termine in cui figurasse il campo di creazione: questo permetteva di soddisfare il cosiddetto “principio cosmologico perfetto”, che postulava l’omogeneità e l’isotropia dell’universo non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Si trattava sostanzialmente di garantire non solo l’eternità dell’universo, ma anche la sua identità strutturale, come densità costante delle galassie nel tempo: per quanto temporale e in espansione, l’universo non era realmente evolutivo. Mantenere costante nel tempo la densità delle galassie implicava una creazione continua di altra materia a un tasso temporale opportuno che compensasse il reciproco allontanamento delle galassie per l’espansione dell’universo. L’autonomia della Natura passava attraverso una “creazione continua”, anche se non nel senso storico di Leibniz, ma senza una violazione esplicita del principio di conservazione dell’energia.
Chiaramente, questa teoria di Hoyle va considerata come non legata a motivi sperimentali cogenti, ma piuttosto una costruzione epistemologica avversa a una certa teologia della creazione nella singolarità temporale di un inizio, e all’opposto come una cosmologia in cui la legge di auto-creazione dell’universo costituisce la teoria fisico-cosmologica come una teoria razionale matematica completa, del tutto autonoma da qualsiasi rimando a una teologia esterna o alla fede.
L'astronomia greca rappresenta una delle punte massime della conoscenza del mondo classico. Risultati e scoperte significative sono stati raggiunti pur con i limitati mezzi teorici e osservativi dell'epoca. La sintesi massima del sapere astronomico antico è certamente rappresentata dall'Almagesto di Tolomeo. Miracolosamente preservatosi integro nei secoli ha rappresentato la visione standard del cosmo fino all'epoca moderna. Recenti ed inaspettate scoperte (come quella di un frammento possibilmente ricondotto al catalogo di Ipparco, Gysembergh et al. 2022) stanno gettando nuova luce sul metodo usato dagli astronomi greci, fatto di osservazioni, teoria e predizioni, molto prossimo al metodo scientifico moderno formalizzato da Galilei. Malgrado l'importanza e le implicazioni dell'opera di Tolomeo, sono pochissime le sue traduzioni moderne (il riferimento odierno è la traduzione in inglese di Toomer 1984): mancano le traduzioni in italiano se non per alcuni passaggi. Presento qui una mia traduzione del primo dei tredici libri, rivolta principalmente alla comunità scientifica, molto aderente al testo originale (dall'edizione di Heiberg 1898). Se ne discuteranno i contenuti rivolgendo particolare attenzione alle metodologie applicate, con lo scopo di stimolare nella comunità astronomica italiana un dibattito in merito. Un progetto più ampio prevede la traduzione dell'intera opera, con lo scopo di fornire alla comunità astronomica italiana il testo completo.
Sullo stimolo d’aurorali intuizioni d’antichi autori cosiddetti ‘presocratici’ - maturate poi in più compiute riflessioni, teorizzazioni e sperimentazioni d’epoche successive - il contributo si propone d’analizzare alcune utilizzazioni o proiezioni di caratteristiche umane (fisiche, conoscitive, comportamentali) in ambiti ‘micro’ e ‘macro’ della cosmologia contemporanea.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Nicoletta Lanciano (Università di Roma "La Sapienza")
Indicherò in questo intervento alcune linee di ricerca relative all’Etnoastronomia sviluppate nel contesto dell’Astronomia Culturale.
L’Etnoastronomia si sviluppa inizialmente in Mesoamerica dove, a fine anni ’70 del 1900, il brasiliano Ubiratan D’Ambrosio ha definito l’Etnomatematica come studio delle tecniche con cui diversi gruppi realizzano pratiche matematiche quali contare, misurare, confrontare, classificare. D’Ambrosio era un matematico, interessato e sensibile anche all’insegnamento della matematica, e legato all’ambito della Pedagogia attiva di Freinet. La difficoltà che denuncia in questa ricerca, è quella di liberarsi dall’atteggiamento disciplinare per spiegare e comprendere i saperi e i modi di fare propri di altre culture secondo le categorie specifiche della matematica accademica.
Anche per l’Etnoastronomia, di cui vedremo alcune definizioni che ne indicano i confini e permettono di esplicitare piste di ricerca aperte, farò riferimento in modo particolare alle ricerche sviluppate nelle Americhe, dove vivono popolazioni legate a conoscenze ancestrali e popolazioni che hanno subito, attraverso la colonizzazione, perdite gravi e mancato riconoscimento dei propri saperi e del proprio rapporto con la natura ed il cielo. Tale rapporto peraltro è stato, ed è ancora ove possibile, diversamente ecologico rispetto a quello sviluppato nel mondo nord-occidentale. In particolare mostrerò le basi del movimento del Sulear, nato nel 1980 che nasce come presa di coscienza rispetto all’organizzazione dello spazio e del tempo, tacita e apparentemente neutra ed universale, del “Nortear” - in cui sono presenti quattro stagioni, il Nord è in alto nelle mappe e il riferimento stellare per l’orientamento è quello della Stella Polare, solo per citare alcuni aspetti problematici - per affrontare la propria percezione geografica dalla prospettiva dell’Emisfero Sud.
La ricerca in Etnoastronomia è naturalmente pluridisciplinare e sviluppata anche in ambito antropologico, sociologico ed epistemologico. L’Etnoastronomia, a sua volta, è infatti legata a una concezione di multiculturalismo, di cui indicherò diverse interpretazioni e definizioni, coscienti o implicite, in diversi ambiti culturali anche delle comunità scientifiche, tra cui quella legata all’intercultura.
L’attenzione agli “altri” alle “minoranze” ai gruppi non egemoni, porta con sé un senso di rispetto e di responsabilità, e l’esplicitazione di diversità che, se a volte vengono intese come ricchezze da conoscere e da accogliere, in altri casi portano a violenze, cancellazioni, pregiudizi, tra cui quelli legati al genere.
L’attenzione di molte delle ricerche in questo settore è posta su metafore, gesti e diverse concezioni relative allo spazio e al tempo, alle loro rappresentazioni e misure, e quindi al modo di organizzare mappe della Terra e del cielo, e di stabilire calendari. Tali tematiche sono molto presenti nella ricerca sull’insegnamento dell’Astronomia a tutti i livelli, dalla preparazione di materiali didattici, ai libri di testo e ai programmi ufficiali. Indicherò, rispetto a questa attenzione, alcuni progetti in cui sono stata coinvolta direttamente.
Nel contesto attuale, caratterizzato dal programma Artemis della NASA, c’è un crescente interesse nell’esplorazione oltre i confini terrestri e nel ritorno degli esseri umani sulla superficie lunare. È essenziale stabilire un approccio strategico per affrontare le sfide di questa nuova era dell’esplorazione spaziale. Il pensiero architettonico, unito ad un approccio sociologico, aiuta a sviluppare tali strategie.
Questa ricerca si inserisce nei campi della sociologia e della space architecture.
La space architecture è definita come la «teoria e pratica della progettazione e costruzione di ambienti abitabili nello spazio» (Millennium Charter, 2002). Sebbene abbia ricevuto il riconoscimento ufficiale durante lo Space Congress di Houston del 2002, le sue radici affondano nei primi anni dell’esplorazione spaziale. Questo riconoscimento ha segnato un punto cruciale per definire questa materia multidisciplinare, che abbraccia campi del sapere quali l’ingegneria aerospaziale, le scienze spaziali, la psicologia, l’architettura e il design, la medicina e l’arte.
L’incorporazione degli studi sociologici nella space architecture permette di delineare una strategia transitoria verso una società che nei prossimi decenni affronterà le sfide dell’insediamento umano su corpi celesti non terrestri.
La storia della space architecture inizia con le prime stazioni spaziali: Salyut, Skylab, Mir e ISS. Nel corso degli anni, sono stati esplorati nuovi approcci per migliorare il rapporto peso-volume nel trasporto di cargo nello spazio. Un esempio è il progetto TransHab, un’iniziativa lanciata dalla NASA per lo sviluppo di una tecnologia gonfiabile per un habitat.
Oggi, l’interesse nella space architecture è in rapida crescita, con progetti per la Luna e Marte in via di sviluppo, tra cui il lunar Gateway, una stazione spaziale cislunare parte del programma Artemis. Moduli come il Lunar I-Hab e HALO sono attualmente in fase di sviluppo e costruzione, sostenuti dalle collaborazioni tra agenzie spaziali e compagnie private.
Sebbene la dimensione tecnica tipica della disciplina della space architecture sia fondamentale per garantire la sopravvivenza degli esseri umani nell’ostile ambiente spaziale, è altrettanto essenziale considerare la complessità sociale e politica intrinseca dei progetti spaziali.
Un progetto è il risultato di un contesto sociale e di un'azione dinamica che coinvolge attori umani e non umani. Assemblare e tracciare i diversi attori e attanti che giocano un ruolo nel processo di progettazione non è solo necessario per mettere in discussione alcuni principi fondamentali del progetto architettonico; è anche utile per delineare un approccio strategico all'architettura spaziale che vada oltre il contesto dell'industria aerospaziale.
Questa ricerca mira a colmare il divario che spinge la space architecture verso la pura tecnica e che la separa dalla sua controparte terrestre, integrando aspetti culturali, storici, politici e sociali. L'obiettivo è identificare una strategia che riconosca le istanze e gli attori umani e non umani coinvolti, applicando la Actor-Network Theory (ANT) di Bruno Latour. Questa teoria consiste nel tracciare le reti di associazioni tra attori e attanti di un fenomeno sociale. L’ANT teorizza l’importanza di oggetti e tecnologie, ovvero attori non umani, che si affiancano alle persone, che rappresentano invece gli attori umani. Le reti di relazioni che si creano tra di essi formano il fenomeno sociale.
Tracciare le associazioni che si stabiliscono nell’ambito della progettazione spaziale porta alla comprensione degli effetti sociali agenti sulla società e nell’ambito aerospaziale.
In questa ricerca si intende applicare l’approccio sopraindicato ad un determinato caso studio, il lunar Gateway. La scelta di analizzare questo specifico progetto per la descrizione delle implicazioni e degli effetti sociali è determinata dall’importanza e dall’imminenza che questo progetto detiene nel contesto del programma Artemis. Trattandosi di un progetto in via di sviluppo e costruzione, parte attiva di un programma attualmente portato avanti dalle agenzie spaziali e compagnie private rilevanti del settore, risulta essere un candidato adeguato all’applicazione della ANT, al fine di individuare attori umani e non umani coinvolti e di comprenderne le implicazioni.
In conclusione, l’integrazione di approcci sociologici nella disciplina della space architecture non solo arricchisce la comprensione delle sfide tecniche e sociali della progettazione e costruzione di habitat per lo spazio, ma permette anche di sviluppare delle strategie complete per affrontare il futuro dell’esplorazione umana dello spazio.
La costruzione di grandi telescopi e di grandi infrastrutture osservative per l’astrofisica moderna favorisce l’avanzamento delle conoscenze scientifiche e richiede lo sviluppo di nuove tecnologie – come sistemi per il trasferimento di enormi quantità di dati, supercomputer con capacità e velocità di calcolo elevatissime e nuovi metodi per l’analisi dei dati – che hanno poi applicazioni nella vita quotidiana, nella medicina, nella realizzazione di nuovi materiali, ecc. Ma se, da un lato, l’avanzamento della conoscenza e della tecnologia porta molteplici vantaggi alla società, dall’altro lato i territori scelti per ospitare le grandi infrastrutture per l’astrofisica, anche se non densamente popolati, sono spesso abitati (o abitualmente frequentati) da persone a cui è chiesto di modificare, in diversa misura, il proprio consueto modo di vivere. Spesso le comunità locali vedono la costruzione come un’invasione di terre che possiedono o occupano da secoli, che possono anche avere un valore sacro, religioso o culturale; a volte gli ambientalisti lamentano un eccessivo uso di risorse del territorio, che viene comunque alterato dalle grandi costruzioni, e una modifica dell’habitat locale che può mettere in pericolo fauna e flora autoctona.
Per questo è richiesto un lavoro di mediazione tra le esigenze della comunità scientifica e quelle di conservazione ambientale e culturale del luogo scelto e delle comunità che lo abitano. In passato, le interazioni tra le diverse parti coinvolte in questo processo hanno spesso causato frizioni, proteste e accordi talvolta non soddisfacenti per tutte le parti in gioco; in alcuni casi, le voci della popolazione locale sono state represse, senza dare ascolto alle istanze sollevate. In altri casi più virtuosi, il processo di mediazione ha portato a una collaborazione più egualitaria.
Abbiamo quindi iniziato un programma di ricerca per raccogliere notizie, questioni sociali, rivendicazioni, stati d’animo legati alla costruzione e alla gestione delle infrastrutture astronomiche in diversi casi e in diverse parti del mondo e soprattutto abbiamo ricercato un modo efficace per introdurre una riflessione e una discussione - tra stakeholders, ricercatori, tecnici ma anche pubblico generale, studenti - e discutere i vari interessi e opinioni in gioco in modo rispettoso e basato sui fatti. Per quanto riguarda i contenuti, ci siamo consultati anche con il professor Davide Chinigò, esperto, tra l'altro, di studi sociali sull'astronomia e che ha studiato in particolare le sfide sociali e l'impatto dell'Osservatorio SKA in Sudafrica.
Abbiamo ricercato diverse possibili attività utili per promuovere confronto e dibatttito e deciso di utlizzare la metodologia Play Decide, un gioco di carte in formato Creative Commons sviluppato da ECSITE (il network europeo degli science centres & musei scientifici). I partecipanti si trovano ad argomentare su un tema e a portare avanti posizioni che non necessariamente condividono. Un’attività di questo tipo può essere svolta in diversi contesti: centri di ricerca, musei scientifici, science centres, festival ed anche in classe; in questo caso la metodologia stimola e promuove molte competenze per lo sviluppo personale. Spesso i temi su cui, come cittadini, siamo chiamati a prendere decisioni e fare scelte hanno a che fare con scienza e tecnologia, ed è quindi importante affrontare anche a scuola temi scientifici controversi.
Abbiamo scelto questa metodologia perché, leggendo le diverse carte proposte, i partecipanti possono familiarizzare con la questione, prendere in esame diversi punti di vista e formarsi una propria opinione in un’ora e mezza circa, un tempo relativamente veloce.
Inoltre, questa metodologia ci sembra avere una grossa valenza sociale, perché i partecipanti sono invitati come gruppo a raggiungere una posizione di consenso condivisa.
Il gioco non si riferisce a una infrastruttura specifica, ma il team ha ricercato casi di studio relativi a osservatori astronomici in siti come Mauna a Wākea (Hawaiʻi), Kitt Peak e Mount Graham (Arizona), il Sardinia Radio Telescope in Italia e progetti in corso come l'Osservatorio SKA in Sudafrica e Australia. In particolare per le story card, abbiamo cercato di fornire un equilibrio in termini di genere e di comunità interessate, cercando il più possibile di evitare gli stereotipi, nella consapevolezza che noi, come autori dell'attività, siamo un gruppo di astronomi ed astronome bianchi e di un Paese del Nord del mondo.
Il gioco è attualmente in fase di beta-testing con diversi destinatari (ricercatori e manager del settore astronomico, pubblico partecipante a fiere e festival, studenti delle scuole secondarie; studenti universitari di astronomia). Presenteremo i primi risultati della valutazione dell'implementazione. Il dibattito che si genera richiama quello che si ha in molti casi all’interno della comunità scientifica stessa e le interazioni tra scienza e società, stimolando la pratica della cittadinanza scientifica. È doveroso sottolineare, tuttavia, come in molti contesti marginalizzati, soprattutto in paesi del Sud globale, ancora oggi tale confronto democratico venga spesso negato e le voci delle persone e delle comunità più fragili silenziate, senza possibilità di appello o dibattito.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Nicoletta Lanciano (Università di Roma "La Sapienza")
Oggetto della ricerca:
Con questo lavoro si intende presentare un progetto di ricerca avente come oggetto la storicizzazione del rapporto tra scienza e società, ovvero la contestualizzazione nel processo storico dello sviluppo della comunicazione della Scienza moderna. L’intento metodologico si basa sulla fusione tra la lettura e la trascrizione - con edizione filologica delle fonti documentali - con la percezione della disciplina astronomica, sottendendo l’utilizzo del “cielo” in senso lato come strumento di indagine e apprendimento del tessuto culturale seicentesco.
Attraverso l’analisi di alcune fonti della metà del XVII secolo, conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze, prendono le mosse speculazioni argomentative finalizzate a creare un ponte interdisciplinare tra storia e la percezione della disciplina astronomia nella lunga durata. La strutturazione della comunicazione e delle informative a carattere scientifico rappresentano per gli studiosi non solo fonti atte ad analizzare singoli aspetti microstorici, ma funzionali a contestualizzare una base per comprendere l’evoluzione, l’utilità, e le radici del comunicare la scienza.
La storia in questo caso si offre come struttura argomentativa per l’analisi di un processo di ricerca in divenire intorno al rapporto osmotico tra scienza e società.
Nel dettaglio, si è preso in considerazione un documento, scritto nel 1682, riguardante un’eclissi solare osservata a Pisa, con rimando al “Sole nero” del titolo, in un’ottica bivalente.
Con questo lavoro si intende presentare un progetto di ricerca avente come oggetto la storicizzazione del rapporto tra scienza e società, ovvero la contestualizzazione nel processo storico dello sviluppo della comunicazione della Scienza moderna. L’intento metodologico si basa sulla fusione tra la lettura e la trascrizione - con edizione filologica delle fonti documentali - con la percezione della disciplina astronomica, sottendendo l’utilizzo del “cielo” in senso lato come strumento di indagine e apprendimento del tessuto culturale seicentesco.
Attraverso l’analisi di alcune fonti della metà del XVII secolo, conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze, prendono le mosse speculazioni argomentative finalizzate a creare un ponte interdisciplinare tra storia e la percezione della disciplina astronomia nella lunga durata. La strutturazione della comunicazione e delle informative a carattere scientifico rappresentano per gli studiosi non solo fonti atte ad analizzare singoli aspetti microstorici, ma funzionali a contestualizzare una base per comprendere l’evoluzione, l’utilità, e le radici del comunicare la scienza.
La storia in questo caso si offre come struttura argomentativa per l’analisi di un processo di ricerca in divenire intorno al rapporto osmotico tra scienza e società.
Nel dettaglio, si è preso in considerazione un documento, scritto nel 1682, riguardante un’eclissi solare osservata a Pisa, con rimando al “Sole nero” del titolo, in un’ottica bivalente.
Metodo:
L’analisi storico-storiografica delle fonti dialoga con l’intento contemporaneo della comunicazione scientifica, intendendo l’interdisciplinarietà come chiave nel comprendere e storicizzare la questione non solo della pura evoluzione culturale e astronomica nel dettaglio, ma anche del senso e dell’importanza del comunicare le scoperte scientifiche. In questo senso nessuna delle due discipline - storia e comunicazione delle scienza - sono una subordinata all’altra, bensì si servono a vicenda per ricostruire una lettura innovativa dell’oggetto di ricerca.
La fonte documentale rappresenta e offre due punti di accesso e comprensione: il concetto e l’informazione diretta, e in secondo luogo - ma in primo piano in questo studio - il senso della stessa documentazione in una percezione macrostorica e di lunga durata.
Nel Seicento si caratterizza la Scienza intesa in senso moderno con alcuni passaggi significativi, non ultimo, con la nascita di quella fondamentale caratteristica della Scienza moderna che il sociologo Merton definisce universalismo. La pubblicazione del “Sidereus Nuncius” (Galileo Galilei, 1610) segna «una svolta in cui le epoche si dividono» (cit. Cassirer) sotto molti aspetti. In primo luogo vi sono quelli strettamente scientifici, ma nondimeno sono decisive le implicazioni filosofiche sulla concezione della natura e del mondo, e le implicazioni letterarie, perché il libro, scritto in latino, inaugura un nuovo genere: il report scientifico, che con il suo linguaggio asciutto e rigoroso apre la strada al sistema complesso che chiamiamo comunicazione della scienza. In questo senso, Galileo ha chiara una necessità che accompagna la verità intorno alla nuova filosofia naturale: «far conoscere tutto a tutti» e, dunque, portare a compimento quel processo che Paolo Rossi ha denominato «l’abbattimento del paradigma della segretezza», che costituisce uno dei caratteri distintivi della «rivoluzione scientifica». Nel XVII secolo, l’elemento della comunicazione diventa quindi fondamentale non solo all’interno del collegio invisibile degli scienziati, ma anche all’esterno - al di fuori della Torre d’Avorio - per esempio istituzionalizzando le accademie scientifiche, fatto che sottolinea il mutamento profondo della scienza rispetto alla società. Dalle indagini sui secreti della natura diffuse a partire dal Quattrocento alle origini della Scienza Moderna è stato chiaro il rapporto tra studio privato e pubblico, inteso come condiviso in una comunità di pari e dotti, e poi in fasi successive con pubblici di non esperti.
Il XVII si configura come secolo chiave, nelle complesse evoluzioni politiche, sociali, economiche, culturali, protratte dal Rinascimento all’età barocca, per capire a fondo la contemporaneità e le caratteristiche del rapporto tra scienza e società, relazione che si è evoluta radicalmente restando però scienza e società fittamente interconnesse e reciprocamente dipendenti. Uno studio metodologico e storiografico dell’origine di questo rapporto osmotico è da considerarsi rilevante per poter capire appieno il peso della comunicazione scientifica in tutte le sue accezioni e non ultimo del suo ruolo in una società democratica della conoscenza nell’era post-accademica della scienza.
Si è individuato in particolare nel Granducato di Toscana di Ferdinando II (1610-1670) e poi di Cosimo III (1642-1723) un momento chiave per l’evoluzione culturale , in cui si ridisegnarono le esigenze dei potentati nel gestire il proprio potere, le relazioni e il sapere come strumento di governo prima in una chiave fondamentalmente artistica e umanistica e successivamente scientifico-tecnologica.
Comprendere dove nascono certi processi e contestualizzarli nel passato, con gli strumenti della storia, aiuta a restituire una forte radice nella loro contemporaneità, e l’edizione filologica rigorosa garantisce fedeltà nella resa delle fonti, oltre che comprenderne il senso nella loro produzione.
Il progetto di ricerca è già stato avviato con lo studio e la pubblicazione in itinere di due articoli su altrettanti documenti conservati nelll’Archivio di Stato di Firenze e relativi a strumenti scientifici e a informative su osservazioni astronomiche tra prima e seconda metà del XVII secolo.
Obiettivi e conclusioni auspicabili:
Studiare, conoscere, investigare, comunicare sono esigenze umane e non di meno far dialogare la storia con le medesime esigenze nel presente consente di proiettarci al futuro con maggiore consapevolezza.
Questo tipo di lavoro cerca di ricollocare la comunicazione scientifica -in senso lato e in tutte le sue declinazioni- a una dimensione di ricerca, ricordando quali siano le radici comuni metodologiche e le stesse finalità con la scienza, proiettate entrambe verso una crescita culturale e il progresso della società.
Le competenze complementari degli autori permettono da una parte di ripercorrere il processo di strutturazione del legame tra società e scienza (o ricerca scientifica) attraverso la trasmissione del sapere a pubblici eterogenei, utilizzando una metodologia di ricerca su documenti storici, e dall’altra parte di proiettare l’utilizzo del concetto di “futuro passato” teorizzato da Koselleck nell’analisi degli strumenti semantici e lessicali applicati all’analisi storica, nell’attuale panorama della comunicazione scientifica nel XXI secolo.
La rigorosa metodologia di indagine storico-filologica conferisce solidità alle argomentazioni che permettono di ricollocare la comunicazione della scienza a ruolo non ancillare rispetto alla scienza stessa, nel suo contesto più ampio rispetto alla società, mettendo in luce i processi profondi che legano le due entità. Questo lavoro vorrebbe pertanto strutturare in modo sistematico le basi anche all’interno della comunità scientifica astronomica - ancora una volta “il cielo come strumento” - di una nuova consapevolezza del ruolo della comunicazione scientifica lasciando definitivamente alle spalle la “Torre d’Avorio” e diventando acquisendo piena cosapevolezza del ruolo strategico della comunicazione non solo per la società ma per la scienza stessa.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande)
Invited: Luisa Santoro (Agenzia Spaziale Italiana); Lucia Bonventre (Agenzia Spaziale Italiana)
Il cielo, da un punto vista giuridico, si divide in spazio aereo (o atmosferico), sottoposto alla sovranità statale, e spazio extra-atmosferico (o cosmico), caratterizzato dalla libertà di utilizzo per scopi pacifici e dal principio di inappropriabilità. Al primo ambito afferiscono le attività di navigazione aerea; al secondo, le attività di utilizzo ed esplorazione spaziale. Queste ultime sono regolate sia da norme di diritto internazionale (trattati, consuetudini e principi generali), sia da legislazioni nazionali.
Sul piano internazionale, l’analisi si sofferma sui cinque accordi multilaterali elaborati in seno alle Nazioni Unite, a partire dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, considerato il fondamento del diritto internazionale dello spazio. Seguono altri quattro trattati, che ne costituiscono specificazioni tematiche, ovvero: l’Accordo sugli astronauti del 1968, la Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni cagionati da oggetti spaziali del 1972, la Convenzione sull’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico del 1975 e l’Accordo sulla Luna e gli altri corpi celesti del 1979.
Sul piano nazionale, gli Stati si sono dotati di normative che, da un lato, rispondono all’esigenza di adattare gli ordinamenti interni agli strumenti internazionali esistenti e, dall’altro, sono volte a disciplinare in maggior dettaglio le attività pubbliche e private condotte nello spazio. Alcuni ordinamenti, come quelli di Francia e Regno Unito, dispongono di legislazioni organiche, mentre altri Stati hanno adottato legislazioni di settore (es. osservazione della Terra, telecomunicazioni, navigazione). In Italia esistono disposizioni legislative specifiche volte a disciplinare l’immatricolazione degli oggetti spaziali e la responsabilità per eventuali danni cagionati da oggetti spaziali stranieri a persone fisiche o giuridiche. Inoltre, è al momento in discussione un disegno di legge che regolamenta lo svolgimento di attività spaziali da parte di operatori privati.
Lo spazio è diventato parte integrante delle strategie nazionali di tutti i Paesi economicamente e tecnologicamente avanzati, che sfruttano il suo potenziale diplomatico per ottenere benefici culturali e socio-economici, tangibili e intangibili. Ecco perché oggi parliamo di “diplomazia spaziale”. Il primo esercizio di diplomazia spaziale risale agli albori dell’era spaziale, ovvero al luglio 1975, quando, in piena Guerra Fredda, ebbe luogo la prima collaborazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, grazie a un approccio che da allora è gradualmente diventato parte essenziale delle strategie governative di tutti i Paesi "spaziali", tanto che oggi, all’interno della comunità spaziale internazionale, la “diplomazia spaziale” rappresenta la base su cui vengono create e sviluppate specifiche piattaforme di rafforzamento delle capacità e della fiducia, consentendo a Paesi, organizzazioni e individui di stabilire, mantenere e/o rafforzare collaborazioni bilaterali e multilaterali come primo passo verso progetti o programmi molto più coinvolgenti e strutturati. Questo intervento fornirà esempi specifici di best practices in azione, esaminando alcune delle principali piattaforme di coordinamento spaziale multilaterale.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Paola Capponi (UniTo)
Seguendo la formazione e la storia di alcune denominazioni di astri e costellazioni e attingendo alla doppia tradizione, colta e popolare, si ricostruiscono aree semantiche e microstrutture ricorrenti nella nominazione dei corpi celesti.
L’analisi consente di osservare, anche a livello di diacronia lunga, alcune invarianti di sistema, analogamente a quanto osservato per altri settori del lessico popolare, zoonimia e fitonimia. In questa prospettiva di studio, i nomi, in parte legati a antichi processi mitopoietici, sono tracce linguistiche di un’antica e articolata visione del mondo e del sacro.
Contrariamente a quanto si crede, il Pianeta Rosso è presente nei testi di numerosi autori e autrici statunitensi da molto prima che nascesse la fantascienza. Già in età coloniale esiste un dibattito su ciò che non si percepisce con i sensi. Nel 1666 Josiah Flint, nel suo trattato The Worlds Eternity Is an Impossibility, condanna la visione copernicana; per Cotton Mather, autore del sermone The Wonders of the Invisible World (1693), tutto ciò che non si vede può essere opera del demonio, dunque un pericolo per il credente. Ma nello stesso periodo e nei secoli seguenti troviamo un altro genere, semisconosciuto e interessantissimo: gli almanacchi, una miniera di indicazioni sulle concezioni astronomiche del tempo in un’epoca in cui i confini tra astronomia e astrologia sono ancora confusi. Poi, a metà dell’Ottocento, accade un fatto straordinario: Edgar Allan Poe pubblica Eureka (1848), un poema in prosa in cui il celebre scrittore postula l’esistenza di una “cosmic family of intelligencies” e anticipa la concezione di multiverso o universi paralleli – attribuita a William James (il fratello di Henry, lo scrittore) – filosofo e fondatore della Society for Psychical Research nel 1895.
Uno dei primi autori a parlare di Marte sarà Edward Page Mitchell, che nel racconto “The Telescopic Eye”, pubblicato sul San Francisco Evening Post nel 1876, descrive un bambino terrestre considerato cieco perché non vede ciò che ha vicino, mentre riesce a vedere benissimo gli abitanti della Luna e, dopo varie peripezie, anche una città marziana. Sono, tuttavia, due donne dello Iowa, Alice Ilgenfritz Jones ed Ella Merchant, che nel 1893 pubblicano il primo romanzo dedicato integralmente a Marte. Nell’utopia femminista Unveiling a Parallel: A Romance by Two Women of the West, un americano narra in prima persona la sua visita su Marte, dove viene accolto da due donne bellissime (Elodia, Ariadne) anche se molto diverse, una praticante della libertà sessuale, l’altra dedita al mondo dello spirito, che vivono in due diverse città, Thursia e Caskia. Su Marte non ci sono differenze di genere, le donne lavorano e guadagnano come gli uomini, bevono e fumano, e la popolazione è vegetariana. Il protagonista viene così “rieducato” ed è pronto al suo ritorno sulla Terra come uomo nuovo. The Man from Mars di William Simpson (1891) vede invece un marziano recarsi sul nostro pianeta (sotto forma di raggio laser o di ologramma ante litteram) per raccomandare al genere umano l’eguaglianza e il rispetto reciproco. Nella II edizione l’autore aggiungerà un capitolo sul suffragio femminile.
I testi di questo tipo continuano fino ai primi anni del Novecento, quando si fa strada un altro modello di fantascienza, più legata a conflittualità interplanetarie e all’idea di invasione cosmica (sulle orme della War of the Worlds di Wells). Ma gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento – quelli su cui concentrerò nel mio intervento – mostrano esempi straordinari e raffinatissimi di un progetto letterario utopico che proietta su Marte le istanze e le rivendicazioni che preludono alla società moderna, basata sul welfare, sui diritti civili e sulla multiculturalità. L’astronomia e la narrativa sono indissolubilmente intrecciate nella produzione letteraria in esame, i cui testi dimostrano notevoli conoscenze in ambito filosofico, fisico e astronomico, unitamente a consapevolezza tecnica e tecnologica (fra i personaggi troviamo Giordano Bruno, Darwin, Edison e Tesla, accanto a spiritisti e medium). Tali testi, sottratti all’oblio grazie a ricerche negli archivi e nelle biblioteche, ci mostrano una strada che auspico sia anche oggi percorribile, una strada che attraversa le discipline creando un’autentica cultura multiforme, interdisciplinare, condivisa e convergente.
A Gianni Rodari, via Lattea quaraquarinci è un concorso annuale di scrittura, che l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) organizza dal 2020, anno del centenario della nascita di Gianni Rodari.
Il concorso si rivolge al mondo della scuola proponendo un percorso di avvicinamento alla scienza del cielo attraverso il racconto, sulla base dei procedimenti narrativi descritti dallo scrittore nella sua opera teorica La Grammatica della fantasia, ma che ritroviamo anche nella sua produzione letteraria e in molti scritti, interviste e articoli. A cinquanta anni dalla pubblicazione dell'opera, il binomio fantastico è ancora uno strumento capace di sollecitare l’immaginazione e la creatività? Funziona quando al centro c'è l’Astronomia? I materiali prodotti da bambini e ragazzi nelle quattro edizioni del progetto offrono utili spunti di riflessione per trovare una risposta a questi interrogativi.
Mai pubblicati per intero, i Frammenti astronomici in endecasillabi di Giandomenico Cassini scritti a Roma tra il 1664 e il 1669 e probabilmente dedicati a Cristina di Svezia o alla Principessa Mancini-Colonna vengono recuperati in questi mesi, nella prospettiva delle celebrazioni del quarto centenario dell’Astronomo di Perinaldo previsto nel 2025, da un manoscritto originale custodito nella Biblioteca dell’Observatoire. Ne presenterò brevemente struttura e contenuto, mostrando come siano passati tra le mani di Giacomo Filippo Maraldi II, che li trascrive e li annota, l’Abate Ruggero Boscovich e Jean-Dominique Cassini IV, che dedica loro una importante lettera. Da un’analisi circostanziata dell’introduzione del Poema si evince che l’opera precorre il filone dell’Astronomia cortese per le Dame portato al successo dal Fontenelle con i suoi Entretiens di un ventennio dopo e replicato con successo fino al xix secolo, da Algarotti a Lalande. I versi si ispirano a loro volta al trattato didattico cinquecentesco De la Sfera del Mondo del letterato e cosmografo senese Alessandro Piccolomini, dedicato alla nobildonna Laudomia Forteguerri. Cassini si inserisce dunque in una delle prime fasi di una lunga tradizione di tentativi di integrazione del genere femminile nel mondo intellettuale, che insieme a quella dell’uso del volgare per diffondere il patrimonio culturale dell’Umanesimo e le novità della Rivoluzione Scientifica, spalanca nuovi orizzonti e nuove potenzialità anche a livello sociale.
Meno chiaro, come racconterò nel presente intervento, risulta tuttavia il posizionamento di questi primi “astronomi-letterati” alle prese con le dame del loro tempo rispetto ai temi della classica “Querelle des Femmes” – la controversia sul ruolo e le qualità delle donne che riverbera in quegli stessi anni ne Les Femmes Savantes di Molière – discussione che si era sviluppata fin dall’inizio del xiv secolo. Come spesso avviene in questi dibattiti della prima età moderna (si veda ad esempio la contesa sul valore dell’astrologia, così ricca di chiaroscuri) permane una sostanziale ambiguità tra argomentazioni filogine e misogine, lasciando il dubbio che l’apparenza progressista dei ragionamenti inclusivi nasconda anch’essa una paternalistica negazione della liceità e capacità di autodeterminazione della donna al di fuori di certi invisibili vincoli e schemi sociali.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Paola Capponi (UniTo)
Ispirato dalla recente celebrazione del centenario dell'autore, questo contributo mira ad esplorare l'affascinante intersezione tra immaginazione e astronomia nell'universo letterario di Italo Calvino (1923 - 1985). Celebre per il suo stile narrativo unico e per le sue profonde e accattivanti costruzioni di mondi fantastici, le opere di Calvino si intrecciano spesso con temi legati al cielo e prospettive cosmiche. Attraverso un attento esame di passi selezionati dei suoi capolavori letterari e interviste pubbliche, ci proponiamo di analizzare le intricate connessioni tra l'incredibile potenza immaginativa di Calvino e la sua fascinazione per le vaste distese del cosmo. Nella sottile interazione tra creatività e curiosità scientifica negli scritti di Calvino, è possibile illustrare i modi in cui l'autore collega i campi della fiction, intesa come invenzione fantastica, e dell'astronomia, offrendo ai lettori un ricco intreccio che trascende i confini convenzionali e invita alla riflessione sulle infinite possibilità della mente umana, con un occhio sempre attento agli eventi della sua epoca.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Natacha Fabbri (Università di Siena, Museo Galileo (Firenze)); Gloria Vallese (Accademia di Belle Arti di Venezia)
Questo contributo esamina le principali accezioni con cui il concetto di temperamento ricorre nella discussione seicentesca sui sistemi astronomici, con particolare riguardo alle analogie tratte dalla musica. Sia nell’ambito astronomico che in quello musicale risultano infatti centrali le definizioni di “sistema” e di “temperamento” di uno strumento, collocate all’interno di un quadro più ampio improntato all’ideale di armonia. La relazione si concentrerà sull’opera di Copernico e sull’interpretazione dell’armonia del sistema eliocentrico che ne hanno fornito Georg Joachim Rheticus, Johannes Kepler e Galileo. Attraverso un esame più ravvicinato dell’opera di Kepler e Galileo, verrà illustrato come l’idea di temperamento del sistema astronomico si sia sviluppata in due direzioni diverse ma complementari: da un lato ha riguardato l’ordine della constitutio della machina mundi; dall’altro lato è stata adottata nella formulazione di ipotesi astronomiche e negli argomenti addotti a sostegno della corrispondenza tra di uno questi sistemi del mondo e la vera struttura dell’universo.
Sarà inoltre mostrato come la musica intesa come espressione sonora del principio metafisico di armonia e come scienza dei suoni abbia fornito modelli epistemologici per il dibattito cinque e seicentesco sui sistemi del mondo e sugli strumenti impiegati in tale contesto.
L'astrometria è la branca più antica dell'Astronomia ed è legata a varie culture; quella contemporanea, introdotta dalla missione spaziale Gaia dell'ESA, coniuga il metodo tradizionale di "misurare il cielo" con l'innovazione tecnologica legata allo spazio basandosi sul concetto inevitabile di spaziotempo.
Il dettagliato e profondo censimento di Gaia in chiave relativistica mette in atto un ripensamento epistemologico del conoscere e modellare il cielo, di quale sia il nostro posto nell'Universo e del come orientarsi, della relazione tra soggetto-oggetto dettata dalla luce stellare. Senza gli astronomi l'Universo non potrebbe rivelarsi e senza luce non esisterebbero gli astronomi che studiano l'Universo. Tale riflessione non è solo scientifica e filosofica, ma si ripercuote anche in campo artistico, etnografico e storico, sulla sfera emozionale-simbolica, sul mondo tecnico e economico e, soprattutto, sul nostro quotidiano. Per questo la presentazione propone l'antropologia nell'accezione "stellare", non puramente etnografica o archeoastronomica. L'apertura ad un perimetro più ampio consente maggiori opportunità di "cross-fertilization" tra discipline o abitudini con cui affrancare le fratture, spesso solo apparenti, tra saperi e prassi diverse. In tal modo i linguaggi scientifici dell'astronomia entrano nel patrimonio culturale comune, concetti complicati possono essere veicolati attraverso 'altre visioni' e si offrono nuovi abiti mentali con cui misurarsi.
La presentazione ne darà alcuni esempi a partire dalle attività di disseminazione intraprese per la missione Gaia, che ha coinvolto rinomate fondazioni e musei, collaborazioni autorevoli con musicisti, artisti, designers, architetti, archeologi, storici, fotografi, attori, coreografi, documentaristi, produttori di animazione, nonché associazioni che operano nelle carceri e nel sociale.
Nella metà degli anni '40, i primi razzi spaziali furono lanciati in orbita e l’umanità iniziò l’esplorazione del sistema solare, oltre l’atmosfera terrestre.
Le prime immagini della Terra, viste dallo spazio, furono riprese e pubblicate nel 1946, lo stesso anno della nascita del Movimento spazialista, fondato da Lucio Fontana.
Nel Manifesto, si evince come la rincorsa tecnologica per la conquista dello spazio influenzò il pensiero degli artisti e il concetto di espressione artistica. Lo studio e la conoscenza di tematiche scientifiche e astronomiche, quali il tempo e lo spazio, entrarono a far parte della rappresentazione visuale.
Nel 1969, anno del primo sbarco sulla Luna, Lucio Fontana affermò che “La scoperta del Cosmo è una dimensione nuova, è l’Infinito: allora io buco questa tela, che era alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita”. L’artista forò e lacerò la superficie pittorica per oltrepassare la dimensione bidimensionale della tela, intesa come materia, per creare una dimensione altra.
In questo contesto artistico e di nuove avventure e influenze scientifiche, si colloca il ciclo di opere definite Buchi, realizzate negli anni 1949-1968, e caratterizzate da vortici di fori ottenuti sulla superficie della carta e della tela, quasi a riprodurre galassie a spirale, nebulose e ammassi stellari.
Inoltre, nel 1952, Lucio Fontana nel primo programma televisivo sperimentale della Rai, Buchi e immagini luminose in movimento, presentò il Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione esponendo anche un’opera bucata e retroilluminata, Concetto spaziale 49 B 1, oggi conservata presso la Galleria Nazionale di Roma. In quest’opera, danneggiatasi successivamente con profonde lacerazioni ed esposta nel nuovo stato per volontà dell’artista, il moto spiraliforme dei buchi illuminati somiglia al movimento circolare delle stelle nella volta celeste.
La presentazione esplorerà, quindi, i legami della poetica di Lucio Fontana con i temi scientifici e astronomici, e la genesi cosmologica della serie Buchi.
L’uomo è già immerso nella natura, così come lo è nella volta celeste. Sì, certo. Ma gli astri sono talmente lontani da sfuggire ai suoi sensi, quando non amplificati da strumenti. Le rappresentazioni immersive, per contro, riducono le stelle, i pianeti, i satelliti e i loro moti ad una scala che sia alla portata dei sensi umani, mantenendo nel contempo la sensazione dell’essere immersi. È una immersione che passa dunque per una fase di miniaturizzazione e che usa la pratica immersiva come strumento conoscitivo, prima ancora che comunicativo.
L'intervento vuole ripercorrere le rappresentazioni immersive della volta celeste e dei moti planetari, partendo dalla prima età moderna per arrivare al 1900. Tra gli esempi considerati: il globo gigante di Gottorp (metà del Seicento, Danimarca), in cui lo spettatore entrava fisicamente, ritrovandosi avvolto dalla riproduzione della volta celeste, con la luce che filtrava dall'esterno in corrispondenza delle stelle; un testo inglese del Settecento (John Rayland, An easy introduction to mechanics, geometry, ... astronomy, London: Dilly, 1768) in cui si proponeva di insegnare l'astronomia facendo impersonare agli studenti i pianeti e i loro moti; i vertical transparent orreries della Londra Vittoriana, proiettati a teatro davanti a platee affascinate, e, infine, il globo celeste gigante della'Exposition Universelle della Parigi del 1900, alla cui progettazione partecipò anche Camille Flammarion. Si proverà a ragionare su come queste modalità siano in dialogo con le rappresentazioni coeve non immersive, e dunque i classici globi celesti (ma anche i pocket globes), i planetari meccanici, o i dispositivi portatili usati nelle itinerant lectures. Il contributo apre infine a una riflessione su cosa significhi, in termini conoscitivi e comunicativi, passare da oggetti manipolabili, nonché trasportabili, a oggetti fruibili solo tramite immersione (previa miniaturizzazione).
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Natacha Fabbri (Università di Siena, Museo Galileo (Firenze)); Gloria Vallese (Accademia di Belle Arti di Venezia)
La sede vescovile di Lescar (Aquitania) si orna di un’imponente cattedrale, fondata nel 1120, che presenta ai due lati dell’abside un celebre quanto enigmatico mosaico pavimentale.
Notevole per la grande qualità formale, la singolarità iconografica, e i tratti quasi da fiaba, raffigura una sequenza di animali guidati da un curioso personaggio, noto come ‘le petit chasseur maure’: un giovane cacciatore moro che, brandendo il suo arco quasi a incitare un assalto, avanza fieramente, nonostante la gamba mutilata sorretta da una stampella; al suo seguito cammina un asino o mulo, alla cui coda è legato un cane lupo.
Accompagna il bizzarro corteo un’iscrizione in grandi maiuscole consistente in una sola parola, parzialmente compromessa dal tempo e dai restauri, che viene correntemente letta come ‘AVFIO’; successione di cinque lettere molto discussa, ma cui non si è potuto finora attribuire alcun senso.
Sul lato opposto dell’abside, il mosaico sviluppa una movimentata scena che include due leoni, un ariete e diversi uccelli, e culmina nella figura di un possente cinghiale, simultaneamente azzannato da un cane e trafitto da un cacciatore armato di lancia.
Attraverso un’integrazione di strumenti storico/artistici e tecnologici, proponiamo di leggere nelle due sequenze di figure gruppi di stelle e costellazioni che declinano eventi celesti del solstizio d’inverno, in accordo con il cielo reale osservabile sopra Lescar all’epoca in cui il mosaico fu eseguito (epoca che conosciamo con sufficiente esattezza grazie a un’altra iscrizione, questa pienamente leggibile, che lo accompagna).
L’indagine è condotta simultaneamente su due versanti: da un lato, l’iconografia delle costellazioni nell’Occidente medievale, che combina l’ininterrotto filone della tradizione classica con influssi orientali; dall’altro, l’uso di strumenti tecnologici fra i quali Google Earth e Stellarium, applicati alla ricostruzione del cielo osservabile all’epoca sopra la città di Lescar e all’analisi dell’orientamento della cattedrale e delle decorazioni al suo interno.
L’enigmatica parola inclusa nel corpo del mosaico può così venire tentativamente integrata e sciolta in ‘AXELO’, ovvero ‘Asellus’, l’asinello: l’animale raffigurato lì presso, e da identificarsi con la costellazione Monoceros. Quest’ultima, comunemente considerata una creazione dei cartografi occidentali del primo Seicento, è in effetti già riscontrabile in testimonianze figurative di età romana e altomedievale in figura di cavallo, mulo o asino, e, solo talvolta e più tardi, di unicorno.
L’interesse per l’astronomia e l’inventiva iconografica rendono l’anonimo maestro di Lescar strettamente contiguo con alcune caratteristiche creazioni, di poco successive, della Sicilia normanna, mettendo in nuova luce le affinità linguistiche a vasto raggio create dai nessi politici e dalle vie di comunicazione intorno al Mediterraneo e verso l’Asia.
Bibliografia essenziale
Lefèvre,Yves, La mosaïque de la cathédrale de Lescar et la littérature médiévale, in: “Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France”, 1977 (1980), pp. 156-162
DOI : https://doi.org/10.3406/bsnaf.1980.8572 [accessed July 28, 2024]
Savage-Smith, Emilie, and Belloli, Andrea P. A., Islamicate Celestial Globes: Their History, Construction, and Use."Smithsonian Studies in History and Technology, 46, 1985, pp. 1–354. https://doi.org/10.5479/si.00810258.46.1 [accessed July 28, 2024]
Ridpath, Ian, Star Tales: Revised and Expanded Edition (Cambridge:, James Clarke & Co Ltd, 1989, http://www.ianridpath.com/startales.html [accessed July 28, 2024]
Adams, Danielle K., Two Deserts/One sky/Arab star calendars, NASA-ESA-AURA-CALTECH, 2004, http://onesky.arizona.edu/ [accessed July 28, 2024]
Barral i Altet, Xavier, Le décor du pavement au Moyen Âge : les mosaïques de France et d’Italie, Rome, École française de Rome, 2010
In questo articolo metto in evidenza la presenza ricorrente di una particolare configurazione stellare tra i tanti notturni dipinti da Piero Guccione, fondatore, con Franco Sarnari, del famoso “Gruppo di Scicli” (al quale afferirono pure Sonia Alvarez, Carmelo Candiano, Giuseppe Colombo, Salvatore Paolino, Franco Polizzi, Giuseppe Puglisi, Pietro Zuccaro).
Si tratta di un elemento astronomico la cui importanza non è mai stata evidenziata da alcuno dei numerosi studi critici precedenti; studi che così hanno rivelando più che altro una certa spiccata sensibilità umanistica di chi ha studiato le sue opere, poco avvezza, quindi, a registrare pure la presenza di elementi meno manifesti di quelli caratterizzanti gli assolati paesaggi diurni che tanto hanno reso famoso Guccione.
Tale “nuova” presenza astronomica – “nuova” perché non è l’unico oggetto celeste ritratto: spesso nelle sue opere si trova anche la Luna che, periodicamente visibile anche di giorno, era già stata notata dalla critica - viene ora definitivamente svelata tramite una accurata ricerca condotta tra le opere custodite nell’archivio romano e tra i numerosi cataloghi pubblicati: un data base di notevole dimensioni, quindi, che mi ha consentito di attuare una attenta valutazione della ricorrenza di una particolare costellazione (o di configurazioni stellari che la ricordano da vicino) nella produzione dell’artista siciliano.
Un'analisi che infine si rivela occasione imperdibile per provare pure a trarre alcune conclusioni di carattere sociologico e metodologico sui rapporti esistenti tra la critica d’arte e altri ambiti culturali, in particolar modo quello scientifico, considerati, spesso a torto, agli antipodi per approccio e percezione del mondo.
Bibliografia
-Adamo, A. (2009). Pianeti tra le note. Appunti di un astronomo divulgatore, Collana iBlu, Springer, Milano.
-Adamo, A., (2013). … e tornammo a riascoltar le stelle, Il Giornale di Astronomia, vol. 39, n.3, p. 11.
-Adamo, A. (2015). STARing the Sky in the Face: Recognizing the Constellations in a Sky Which Does not Have Any, Orlando, A. (a cura di), Conference: XVth Italian Society of Archaeoastronomy Congress, 2015 At: Catania (IT), Volume: The Light, The Stones and The Sacred, Springer Internationemphasized textal Publishing AG 2017 (ed.), Astrophysics and Space Science Proceedings, 48.
-Bergia, S. (1997). La cosmologia come disciplina scientifica, Boniolo, G. (a cura di), Filosofia della Fisica, Mondadori, Milano.
-Giuliani, T. (2023). La Notte di Michelangelo: ispiratrice di sonetti e di pubblicazioni scientifiche in medicina, Mediterraneo, https://mediterraneoantico.it
-Goldin, M. (a cura di), (1995). Guccione, Electa
P. Guccione (1991). Bozzetti e scene per Norma del centenario, Fabbri Editore.
-Molaro, P.; Bernardini, F. (22 November 2023). Possible stellar asterisms carved on a protohistoric stone, Astronomical Notes.
-Nifosì, L. (2023). Guccione per inciso, in La man che ubbidisce all’intelletto – Guccione interpreta Michelangelo, Movimento Culturale Brancati, Scicli (RG).
-Nifosì, P., Sparacino G. (a cura di) (2010). Piero Guccione, Centro Studi Feliciano Rossitto, Ragusa.
-Rossi, A. (Dicembre 2021). Tiziano e la duplice metamorfosi di Callisto. Il punctum attorno a cui ruota l’originale, Venezia Arti, nuova serie 3 – Vol. 30 – 30.
-Siciliano, E. (1991). Un’elegia della luce, in Piero Guccione, bozzetti e scene per Norma del centenario, Fabbri Editore.
Il virtuosismo e l’educazione artistica di Galileo sono aspetti meno noti della sfaccettata figura dello scienziato pisano nel quale si realizzano in modo esemplare sia la simbiosi auspicata da Bacone tra mano e intelletto, sia un intreccio fecondo tra arti figurative e speculazione scientifica.
La mano, l’occhio e la mente sono quelli di Galileo che prima costruisce il suo esemplare di cannocchiale, poi lo punta verso la luna e infine registra i risultati delle osservazioni della superficie lunare sotto forma di immagini acquarellate che illustrano il testo del Sidereus Nuncius. Infatti Galileo padroneggiava in modo eccellente la tecnica figurativa dell’acquerello e del chiaro-scuro (la resa di luci e ombre).
Che la pubblicazione del Sidereus Nuncius dia l’avvio alla scienza moderna è fatto ampiamente studiato ma qui vogliamo dedicarci ad alcuni interrogativi epistemologici sollevati dall’apparato iconografico dell’opera. Le questioni degne di nota riguardano la rappresentazione dei dati scientifici, la natura dell’osservazione e la natura stessa del “dato” empirico. Infine, merita una riflessione il ruolo inedito delle immagini la cui diffusione segna un punto di svolta nella retorica delle opere scientifiche che d’ora in poi sfrutteranno in misura crescente nuovi codici non verbali.
Le figure traducono il dato sensibile e riflettono il clima di apertura al nuovo nel quale la visione diretta diventa prassi irrinunciabile che garantisce l’accesso alla realtà “oggettiva”. Non a caso Galileo afferma ripetutamente il valore probante delle “sensate esperienze” fatte con gli “occhi della fronte”, rinfacciando agli oppositori di attenersi fideisticamente ad una tradizione opinabile fondata sulla testimonianza di quelli che egli chiama gli “occhi della mente”.
Ma la vicenda delle osservazioni lunari mette in luce il fatto che i fautori della visione diretta e “oggettiva” peccano di eccessiva semplificazione perché ritengono di poter trascurare l’intervento degli “occhi della mente”. Tesi che possiamo precisare e aggiornare rifacendoci a studi di scienze cognitive e di filosofia della percezione che attestano che si vede in misura preponderante con la mente e che nella visione c’è più di quanto viene colto dall’occhio.
Il punto cruciale è che, quando si tratta di esplorare mondi ignoti, quali erano alllora la luna oppure gli enigmatici paesaggi svelati dalla microscopia di Hooke, entra in gioco il retroterra culturale e immaginifico dell’osservatore che sopperisce alla mancanza di riferimenti e di precedenti.
In proposito è illuminante il confronto tra le immagini prodotte da Galileo e i disegni praticamente coevi dell’inglese Thomas Harriot. La distanza siderale tra le rappresentazioni fornite dai due osservatori va ricondotta in buona parte al fatto che lo scienziato pisano aveva, a differenza dell’inglese, un occhio esercitato alla resa degli effetti chiaroscurali in generale e in particolare delle asperità dei paesaggi. Elementi, questi ultimi, che erano una costante negli sfondi della pittura italiana.
L’osservazione si rivela essere non una mera registrazione ma una forma di abduzione che è il frutto della simbiosi tra “occhi della mente” e “occhi della fronte”. Una siffatta sinergia offre una nitida esemplificazione dell’intuizione di Peirce che si può condensare nell’equivalenza “percepire è inferire”. Qui la percezione include due momenti: la mera registrazione del dato retinico, cioè le anonime ombreggiature (“strange spottedness” per Harriot), e l’inferenza che procede alla loro catalogazione (crateri, per Galileo, mari e continenti per Harriot).
Siamo di fronte a un esempio molto istruttivo che mostra come la creatività scientifica si nutra non solo di tecnicismo, ma anche di intuizione e immaginazione e anche di un sapere della mano che è anche un sapere della mente. Competenze complementari che, lavorando simbioticamente, forniscono la migliore smentita dell’artificiosa contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica.
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Natacha Fabbri (Università di Siena, Museo Galileo (Firenze)); Gloria Vallese (Accademia di Belle Arti di Venezia)
Interventi degli invited da 30 minuti (25 di talk più 5 di domande), normali da 20 minuti (15 di talk più 5 di domande).
Invited: Francesco Brancato (Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano)); Alessandro Pluchino (Università di Catania)
Durante il suo ultimo viaggio in Italia, poco prima della sua morte avvenuta nel 1954, fu chiesto ad Enrico Fermi quale sarebbe stata la fisica del futuro. Si racconta che a questa domanda il grande scienziato italiano abbia risposto senza esitazione: “Lo studio del vuoto”. L’idea che quello che ci appare come spazio vuoto sia permeato da un substrato fondamentale non è nuova. A questo tipo di spazio strutturato è stato dato storicamente il nome di ‘etere’. In questo contributo ripercorreremo le tappe della concezione dell’etere nei secoli, mostrando come oggi sia possibile proporre una visione moderna del vuoto quantistico come etere turbolento che, da un lato, riabiliti la versione Lorentziana di una relatività fisicamente realizzata e, dall’altro, riproponga una nuova contaminazione tra fisica, filosofia e misticismo.
Bibliografia:
• M.Consoli, A.Pluchino, A.Rapisarda (2011) “Basic randomness of nature and ether-drift experiments”, Chaos, Solitons and Fractals 44 (2011) 1089-1099
• M.Consoli, C.Matheson, A.Pluchino (2013) “The classical ether-drift experiments: a modern re-interpretation”, Eur. Phys. J. Plus 128: 71 DOI 10.1140/epjp/i2013-13071-7
• M.Consoli, A.Pluchino, A.Rapisarda, S.Tudisco (2014) “The vacuum as a form of turbulent fluid: motivations, experiments, implications”, Physica A 394 61–73
• M.Consoli, A.Pluchino (2015) “Il Vuoto. Un enigma tra fisica e metafisica”, Aracne Editrice 2015
• M.Consoli, A.Pluchino, A.Rapisarda (2016) “Cosmic Background Radiation and ether-drift experiments”, Europhysics Letters, 113 19001
• M.Consoli, A.Pluchino (2016) “The idea of a stochastic space-time: theory and experiments” in "Beyond Peaceful Coexistence: the Emergence of Space, Time and Quantum” - World Scientific
• M.Consoli, A.Pluchino (2018) “Cosmic Microwave Background and the issue of a fundamental preferred frame”, European Physical Journal Plus, 133:295
• M.Consoli, A.Pluchino (2019) “Michelson-Morley experiments: an enigma for physics and history of science ”, World Scientific - ISBN 9789813278189
• M.Consoli, A.Pluchino (2021) “The CMB, preferred reference system and dragging of light in the earth frame ”, Universe 7, 311
• M.Consoli, A.Pluchino. P.Zizzi (2022) “Quantum Non-Locality and CMB: what Experiments say”, Universe 8(9), 481
• M.Consoli, A.Pluchino (2023) “Michelson-Morley Experiments: at the crossroads of Relativity, Cosmology and Quantum Physics”, Int. Journal of Modern Physics A
Fin dai primordi della civiltà, l'astronomia ha rivestito un ruolo fondamentale nel corpus del sapere umano, diventando cruciale nella cosiddetta “rivoluzione scientifica”, avvenuta tra il XVI e il XVII secolo nella storia del pensiero occidentale. Nel passaggio dal “mondo del pressappoco” all’“universo della precisione”, figure come Copernico, Keplero, Tycho Brahe, Galileo e Newton furono protagonisti di una rivoluzione che, pur andando oltre l’osservazione astronomica, trovò nella ridefinizione del cosmo il suo punto di svolta. La storiografia contemporanea sta restituendo la complessità di un processo di maturazione e autonomia della nuova disciplina scientifica, costruita su un terreno dove interessi filosofici e teologici erano predominanti. Sempre più, il ruolo degli scienziati religiosi evidenzia la complessità di tale dibattito. Su questa linea si inserisce il presente contributo, presentando il lavoro di alcuni scritti di Filippo Maria di S. Michele (1652-1704), al secolo Tosini, membro dell’ordine degli scolopi e allievo di Giovanni Alfonso Borelli. Fedele alla missione pedagogica del suo ordine, Tosini fu autore di numerosi trattati di astronomia e matematica, realizzati con una metodologia autoriale improntata alla reticenza, capace di mantenere un delicato equilibrio tra l’onestà delle evidenze fornite dalla nuova scienza e l'attenzione ai dettami stringenti della sensibilità controriformistica. Alla fine del XVIII secolo, Filippo Tosini incarnò perfettamente la figura del sacerdote-scienziato, in grado di contemplare il cielo tanto nella sua dimensione metafisico-spirituale quanto nella sua composizione fisico-matematica. Attraverso l’analisi di alcuni scritti di Filippo Maria di S. Michele (Tosini), si intende da un lato presentare il lavoro svolto dal religioso-astronomo nella diffusione della visione copernicana e dell’approccio matematico-esperienziale della scienza astronomica moderna. Dall’altro lato, si cercherà di evidenziare il processo di slittamento epistemologico attraverso il quale l’astronomia si è purificata da elementi estranei, come l'astrologia, e da considerazioni extra-scientifiche, nel delicato compromesso con le urgenze teologiche.